THIS IS NOT A DRILL TOUR: ROGER WATERS LIVE A MILANO

28/03/2023

Articolo di Luca Di Criscio

L’UOMO DIETRO L’ARTISTA

Ci sono numerosi artisti che, raggiunta la vecchiaia, pensano di non poter aggiungere più nulla alla loro carriera, nella convinzione spesso fondata di aver già dato e già detto tutto ciò che potevano. Questo discorso non può certo dirsi valido per Roger Waters, che ad 80 anni, da compiere a settembre dell’anno in corso, decide di imbarcarsi ancora una volta in una tournée mondiale, presentata come il suo “primo” tour d’addio. Senza spiegazioni ulteriori questa dicitura inquadra bene la volontà dell’artista, che appare ben lungi dal ritiro dalle scene, di voler continuare a diffondere il suo messaggio di speranza e di pace con una forza ed una carica inesauribili. Proprio in questo possiamo individuare il motore del leggendario bassista dei Pink Floyd: la profonda aderenza ai suoi valori e la fiducia inossidabile nella possibilità del cambiamento.

Lo spettacolo preparato sarà ricco di sorprese e il primo particolare che cattura l’occhio all’ingresso nel Mediolanum Forum di Assago, luogo designato per le 4 date milanesi del “This Is Not A Drill Tour”, è la forma del palco: una croce posizionata al centro della platea, che dà la possibilità a molti più spettatori di trovarsi a ridosso del palco, con gli strumenti posizionati nel punto di intersezione tra i due assi e sovrastata da una struttura di stessa forma e dimensioni, che costituisce la più classica delle scenografie degli spettacoli di Roger Waters, poiché ricoperta di schermi che proietteranno immagini e messaggi nell’arco di tutta la durata del concerto. Con questa disposizione, egli è riuscito a superarsi ancora una volta: grazie a questa struttura quadripartita, tutti gli spettatori avranno la possibilità di godersi lo spettacolo allo stesso modo, senza perdersi nemmeno un dettaglio dell’evento.

Il bassista britannico questa volta fa davvero le cose per bene e sarà la sua stessa voce preregistrata ad annunciare al pubblico ad alcuni intervalli quanto manca all’inizio del concerto e quando effettivamente prenderà avvio. Roger Waters è un personaggio scomodo, è risaputo, proprio per questo nel momento in cui la sua voce si sente per l’ultima volta, egli ci tiene a precisare di spegnere i cellulari e che “se siete persone del tipo: – Mi piacciono i Pink Floyd ma non sopporto le idee politiche di Roger – potete benissimo andare a fanculo al bar”. Nel bene e nel male il musicista britannico è sempre unico e divisivo, o con lui o contro di lui, e lo si ama anche per questo.

Tuoni roboanti cadono sulla platea e immergono gli spettatori in una lugubre atmosfera post-apocalittica, ben rappresentata sugli schermi, accompagnata da un pedale di organo e da demoniaci suoni di chitarra: ad aprire il concerto è la nuova e controversa versione del grande classico “Comfortably Numb”, rallentata, abbassata di tonalità e privata dei suoi leggendari assoli, per lasciare spazio ad una lunga e straziante coda affidata alle voci delle due impressionanti coriste, conferendo ancora più vigore alle sue parole. Proprio in corrispondenza di questa sezione la piattaforma con gli schermi, calata fino a questo momento sul palco per nasconderlo, comincia ad innalzarsi scoprendo l’intera struttura centrale.

All’improvviso, una forte luce bianca inizia a squadrare la folla in platea alla ricerca di chissà chi, mentre incessanti suoni di elicotteri riempiono l’arena, finché non irrompe la voce di Roger Waters, fino a quel momento non visibile sul palco, ad introdurre questa mini-suite tratta da “The Wall” che scuote il pubblico. L’incipit è quindi affidato a “The Happiest Days Of Our Lives”, per poi passare attraverso la hit di una vita “Another Brick In The Wall, Part 2”, che, cantata all’unisono da tutto il pubblico, dopo il suo celebre assolo lascia spazio in chiusura anche alla “Part 3” di questo grande classico.

In seguito a questo scoppiettante inizio all’insegna di alcuni dei più celebri successi dei Pink Floyd, il bassista inglese si lancia in un paio di brani tratti dal suo repertorio solista assenti da molti anni dalle sue scalette come “The Powers That Be” “The Bravery Of Being Out Of Range”. Quest’ultima è stata riarrangiata per l’occasione con una nuova veste e caratterizzata dalla presenza sugli schermi della dicitura “Criminale di guerra”, dietro la quale compaiono una dopo l’altra le immagini di alcuni dei presidenti degli Stati Uniti degli ultimi decenni, da Reagan fino a Biden, inaugurando così la lunga trafila di messaggi politici che caratterizzeranno questo spettacolo nella sua interezza.

Al termine del brano Roger Waters fa una cosa che accade molto raramente nei suoi spettacoli: non si immerge subito nell’esecuzione della successiva canzone, ma prende il microfono e, seduto al pianoforte, gesto già di per sé inusuale, con una calma serafica inizia a parlare e scherzare con i propri fan, dandogli il benvenuto e spiegandogli la genesi di un nuovo brano inedito, che si accingerà ad eseguire. La canzone in questione si chiama “The Bar” ed è delicata ed intensa ballata scritta durante il lockdown. 

Arriva a questo punto del concerto un nostalgico tuffo nel passato con un trittico tratto dalla pietra miliare “Wish You Were Here”, che si apre con un brano fin troppo spesso sottovalutato ed escluso dalle scalette come “Have A Cigar”, incalzante ed incisivo grazie alla potenza trasmessa dai suoi sintetizzatori e dalle chitarre, e procede con un toccante omaggio all’amico di una vita, nonché fondatore insieme a lui dei Pink Floyd, Syd Barrett.

Mentre le note iniziali della commovente “Wish You Were Here” si diffondono nell’aria, sullo schermo alcune scritte ripercorrono l’episodio che ha spinto i due a creare una band e a fare della musica la loro vita, finché la voce di Roger Waters non intona lo splendido testo di questa canzone, cantata con trasporto da tutti i presenti con un effetto da brividi. Nel proseguimento del racconto sugli schermi durante il brano, viene narrato il momento in cui l’artista inglese si rese conto che l’amico era ormai impazzito, riflettendo sul fatto che la vita possa avere risvolti tragici ed imprevedibili e che “This is not a drill”: questa non è un’esercitazione.

A completare l’atmosfera contribuiscono una serie di immagini proiettate sui maxischermi raffiguranti la band nei suoi primi anni e nel pieno della giovinezza, immagini che accompagnano anche la successiva “Shine On You Crazy Diamond”, eseguita qui in una versione rimaneggiata, che unisce parti diverse ed incomincia con le “Parts VI-VII”, di unica e struggente bellezza, per poi ricollegarsi dopo la strofa all’assolo di sassofono che chiude l’esecuzione (“Part V”).

Ben presto queste nostalgiche sonorità cedono il passo a dei belati di pecore, che fanno capire immediatamente all’ascoltatore l’imminente arrivo di “Sheep”, tratta dal classico “Animals”, ispirato a “La fattoria degli animali” di George Orwell. Arrivo che è paradossalmente anche fisico, poiché a metà del brano una pecora gonfiabile inizia a sorvolare le teste del pubblico, guidata dal musicista inglese a simboleggiare la facilità con cui si può esercitare il controllo sulle pecore, che incarnano il popolo. Con il festoso finale del brano, che vede gli oppressi ribellarsi e liberarsi, si chiude la prima parte dello spettacolo, già di per sé ricchissima di emozioni e di messaggi.

Alcuni brusii si cominciano a sentire dagli altoparlanti durante la pausa e con lo scorrere dei minuti si fanno sempre più insistenti e nitidi. Sembrano dire qualcosa, ma non si riesce a capire ancora…alla fine diventa tutto chiaro: “Hammer, hammer, hammer”. Non c’è tempo per realizzare, perché si viene subito investiti dalle possenti note di “In The Flesh”, accompagnate da stendardi con martelli incrociati calati sul palco da ogni lato. Roger Waters rispolvera per l’occasione la classica divisa simil nazista di Pink utilizzata in tutti i tour di “The Wall”, calandosi perfettamente nella parte di questo dittatore, che al termine del brano mitraglia letteralmente la folla e incita a seguirlo nei suoi movimenti come un vero leader nella successiva “Run Like Hell”, che con il suo ritmo molto marcato anima gli spettatori facendoli muovere a tempo.

Ha l’occasione di fare la sua immancabile comparsa durante questo brano il celeberrimo maiale aerostatico Algie, tra i simboli tipici dei Pink Floyd, che aleggia minacciosamente sull’intera platea.

Buttata alle spalle la stravaganza pseudo nazi del precedente personaggio, il musicista britannico torna sul palco per dimostrare che Roger Waters non è solo i Pink Floyd, ma anche tanti validi lavori solisti, e si lancia perciò in una coppia di brani tratti dal suo ultimo lavoro in studio come “Déjà Vu” e l’omonima “Is This The Life We Really Want?”, con le quali viene creata un’atmosfera molto intima ed insolita, che distende e commuove gli animi di tutti i presenti dopo le precedenti esplosioni sonore.

Giunge a questo punto il momento delle grandi celebrazioni. Ben sappiamo che il 1° marzo 2023 è caduto il cinquantesimo anniversario della pubblicazione del leggendario capolavoro dei Pink Floyd “The Dark Side Of The Moon” (potete trovare la mia celebrazione di questo disco in questo link: https://livestudio.altervista.org/pink-floyd/ ) e quale miglior modo di rendere omaggio a tale opera ci può essere se non eseguendo integralmente tutta la seconda facciata del disco. Rumori di registratori di cassa ci proiettano subito nell’iconica “Money”, che insieme alla successiva e meravigliosa “Us And Them” risultano essere ancora estremamente attuali per via della loro feroce critica nei confronti dell’attaccamento al denaro e delle guerre, inutili sacrifici di uomini innocenti. Quest’ultima si carica di una forza espressiva ed emotiva sublime, accentuata dalle immagini che scorrono sugli schermi, che non possono che finire per commuovere l’animo di ogni ascoltatore.

Passando per “Any Colour You Like”, che permette alla band di realizzare una piccola jam session, si giunge all’inscindibile coppia finale del disco composta da “Brain Damage”, ultimo accorato omaggio al “folle” Syd Barrett, ed “Eclipse”. Qui si compie la magia: nel momento in cui l’ultima traccia dell’album inizia, numerosi proiettori disegnano altrettanti triangoli bianchi che attraversano il palco; mentre nel corso del brano, sugli schermi si verrà gradualmente a formare l’arcobaleno, che nella celebre copertina è irradiato dal prisma. Un’apoteosi sonora e visiva inarrivabile.

Il concerto formalmente finisce qui, ma nessuno può dirsi tale senza un bis. Roger Waters, tuttavia, non ha bisogno del classico giochetto di scendere dal palco, fingendo la fine dello spettacolo per poi risalire, e decide pertanto di rimanere sulla scena. Il cantante inglese ben pensa di sfruttare questo tempo per guardare negli occhi il suo meraviglioso pubblico italiano, che come ammesso da lui stesso lo ha sempre amato, ringraziarlo per la presenza ed il sostegno e persino scherzare con esso raccontando improbabili aneddoti riguardo una permanenza dell’artista a Firenze con la moglie. Approfittando di questa atmosfera distesa e serena, vengono presentati gli ultimi due brani, non grandi classici, ma che allietano ugualmente un pubblico che ha ormai già ottenuto tutto.

Alla prima “Two Suns In The Sunset”, apocalittica e di certo poco rassicurante a dispetto del suo arrangiamento, segue una ripresa dell’ultimo inedito di Roger Waters “The Bar”, dedicata con toccante umanità alla moglie, all’ispiratore Bob Dylan e al defunto fratello maggiore, che ad un certo punto confluisce senza soluzione di continuità in “Outside The Wall”. Sulle note di questo brano la band gira tutto il palco per salutare ogni parte della platea e raccogliere gli ultimi meritati applausi, prima di ritirarsi nel backstage dove alcune telecamere permetteranno di visualizzare sugli schermi i musicisti in cerchio concludere l’ultima e già ricca di nostalgia esecuzione della serata.

Con questo brano si chiude un concerto straordinario sotto ogni punto di vista, dalla qualità sonora eccelsa e dalla realizzazione perfetta. Il messaggio sociale e politico come sempre c’è, mai come questa volta, e raggiunge in maniera efficace l’ascoltatore, anche e soprattutto grazie alla scenografia mozzafiato, nella quale ancora una volta Roger Waters è riuscito a superarsi nonostante l’avanguardia di ogni sua messa in scena. Il concerto inoltre ha permesso ai presenti di apprezzare il lato più umano di Roger Waters, mai così a nudo di fronte ai propri fan, che tra parole dette e proiettate ha saputo raccontarsi non solo per il grande artista che è, ma anche per l’uomo che porta con sé fragilità e sofferenze e che inevitabilmente è sempre stato. Questo aspetto non ha potuto che contribuire alla creazione di un’atmosfera magica e commovente, tangibile per ampi tratti dello show.

La band che lo accompagna dimostra ormai un’affidabilità totale e gli permette di ricreare in maniera piuttosto fedele il classico suono dei Pink Floyd. Il suono del gruppo è vivo, ricco ed altamente emotivo, come quello che la leggendaria band inglese ha sempre saputo mostrare. Lo stile chitarristico e vocale di David Gilmour ovviamente non può essere imitato, ma David Kilminster e Jonathan Wilson riescono abilmente a barcamenarsi dividendosi le sue parti. Il passo in avanti maggiore, tuttavia, la band lo fa con l’ingresso del sassofonista Seamus Blake, eccellente professionista in grado di reinterpretare alla perfezione e con eleganza gli assoli presenti in alcuni classici dei Pink Floyd.

La scaletta ripercorre pienamente la carriera dell’artista e, coerentemente con quella del precedente tour, con grande audacia lascia fuori alcuni grandi classici in favore di altri importanti brani che nell’“Us+Them Tour” non avevano trovato spazio. Sorprende sicuramente la presenza di brani solisti di Roger Waters come “The Powers That Be” o di brani minori dei Pink Floyd come “Two Suns In The Sunset”, mentre si fa apprezzare la scelta di includere più brani da “Wish You Were Here” “The Wall”. Fa sicuramente storcere il naso l’assenza di capisaldi del calibro di “Time” “The Great Gig In The Sky”, ma ciò che forse ha creato maggiore dispiacere nei fan è la totale assenza di riferimenti, tanto verbali quanto visivi, al vecchio compagno di band David Gilmour, l’amicizia con il quale ormai è solo un lontano ricordo.

La fermezza di Roger Waters nelle sue posizioni, testimoniata anche da questo fatto, dimostra come la vecchiaia non abbia minimamente ammorbidito questo spirito indomabile e in grado di sostenere, alla veneranda età di settantanove anni, uno spettacolo della durata di più di due ore e mezza con una grinta e una tenacia invidiabili. Nel vederlo andare via per (forse) l’ultima volta si prova una grande malinconia, ma un uomo del genere non può che essere lodato: come disse quindi il giornalista Andrea Scanzi in un articolo di qualche anno fa – “Sia dunque lode” – 

SETLIST

Comfortably Numb 2022

The Happiest Days Of Our Lives

Another Brick In The Wall, Part 2

Another Brick In The Wall, Part 3

The Powers That Be

The Bravery Of Being Out Of Range

The Bar

Have A Cigar

Wish You Were Here

Shine On You Crazy Diamond (Parts VI-VII-V)

Sheep

In The Flesh

Run Like Hell

Déjà Vu

Is This The Life We Really Want?

Money

Us And Them

Any Color You Like

Brain Damage

Eclipse

Two Suns In The Sunset

The Bar (Reprise)/ Outside The Wall

Articolo di Luca Di Criscio

Pubblicato da livestudio

Mi chiamo Luca Di Criscio e sono nato il 19 Maggio 2003 ad Atessa, un piccolo comune nella provincia di Chieti in Abruzzo. Fin da piccolo ho sviluppato un grandissimo interesse per la musica, specialmente il rock del passato, che mi ha portato all'età di 9 anni ad intraprendere lo studio della chitarra. Durante gli anni dell'adolescenza poi, i miei orizzonti culturali e musicali si sono notevolmente ampliati anche grazie alle prime esperienze all'interno di gruppi musicali, che mi hanno dato lezioni molto preziose. Dopo aver terminato il Liceo Classico, ho intrapreso gli studi all'Università Cattolica Del Sacro Cuore di Milano frequentando il corso di Linguaggi Dei Media della facoltà di Lettere e Filosofia. In questo ambiente, sono arrivato ad unire la mia enorme e sempre maggiore passione per il mondo musicale con gli studi passati e presenti per realizzare quale sia la mia ambizione: diventare un giornalista musicale. Pertanto, mi sono subito messo al lavoro e, contestualmente ad una collaborazione avviata con la web radio RockAndWow, ho deciso di aprire questo blog musicale nel quale metterò tutta la mia passione e le mie competenze.